Corso: Fondamenti del pensiero junghiano IV: dalla tipologia psicologica al Myers-Briggs Type Indicator (MBTI)
Tipologia: cod. MIUR C.1: Insegnamento caratterizzante (attività didattiche di tipo clinico di indirizzo) lezioni solo teoriche: Approfondimento specifico dell’indirizzo metodologico e teorico-culturale seguito dall’istituto
Ore: 16
Anno: IV
Docente: Riccardo Bernardini [riccardo.bernardini@ipap-jung.eu]
Programma dell’insegnamento

L’essenza della teoria tipologica junghiana è che le variazioni apparentemente casuali del comportamento umano, in realtà, siano abbastanza ordinate e consistenti, in quanto legate a certe differenze di base nell’orientamento della coscienza. La teoria tipologica junghiana ha origine nella teoria dei “complessi” (Komplexen), cui sono collegate due ipotesi tanto fondamentali quanto in apparenza contrapposte: quella degli invarianti immaginali inconsci, legata all’idea di “archetipo” (Archetypus), e quella del pluralismo prospettivistico, legata all’idea di “tipo” (Typus). Mentre la prima ipotesi, inizialmente proposta in Simboli della trasformazione (1912/1952) e successivamente sistematizzata in L’Io e l’inconscio (1928), si riflette nella concezione strutturale della psiche, la seconda ipotesi, formulata da C.G. Jung per la prima volta nel 1913 in occasione del quarto Convegno dell’Associazione psicoanalitica internazionale e poi sviluppata nella sua forma più piena – grazie anche alla collaborazione dello psichiatra Hans Schmid-Guisan e della sua allieva e  assistente Toni Anna Wolff – in Tipi psicologici (1921), si ritrova nella proposta tipologica e nel connesso principio della relatività di qualsiasi concezione strutturale della psiche. Se la prima ipotesi, l’archetipologia, è la ricerca dei limiti che si impongono nelle variazioni, la seconda ipotesi, la tipologia, guarda invece alle possibili variazioni. La specificità dell’ipotesi tipologica junghiana è il suo approccio psicodinamico. La definizione dei tipi psicologici, sottolinea Luigi Aurigemma, è cioè basata sulla “relazione di complementarietà o di opposizione degli strumenti conoscitivi psichici […], legati nel gioco della presenza nella coscienza o della rimozione dell’inconscio” (Aurigemma, 1969, p. 4). La teoria tipologica junghiana, nata come proceduta d’indagine di carattere storico-comparativo, si sarebbe così gradualmente caratterizzata come un settore della Psicologia Analitica che studia le differenze di sistemi psichici distanti tra loro. Essa si propone lo scopo, cioè, di individuare il tipo psicologico a cui assegnare un determinato individuo, in base alla rispondenza dei suoi modi di organizzare il materiale psichico con quelli che sono i tratti caratteristici dei differenti tipi storicamente selezionati (Pieri, 1998, p. 739). Eppure, dall’edizione dei Tipi in poi, letteratura ed epistolari hanno contribuito a chiarire come la tipologia fosse tutto fuorché il principale interesse di Jung. Quest’ultimo ne riconosceva infatti il valore in quanto apparato critico per vagliare il materiale empirico, piuttosto che tentativo di tipizzare le coscienze. È proprio la capacità euristica dei tipi a giustificarne l’odierno utilizzo in ambito psicoterapeutico e analitico. Paradossalmente, è invece la loro sistematizzazione come “caratterologia” a decretarne il successo anche al di fuori dei contesti clinici e, dagli anni ’20 in poi, l’enorme diffusione a ogni latitudine, rendendo la teoria via via più rilevante a fini valutativi, formativi e orientativi. Il sapere tipologico, peraltro, rappresenta l’unico aspetto del corpus junghiano entrato a pieno titolo nei programmi di studio universitari. Dal 1923 – anno della traduzione inglese di Tipi psicologici – al 1941, Katharine Cook Briggs (che dal 1917 stava elaborando una propria tipologia) e sua figlia Isabel Briggs Myers si dedicano allo studio della tipologia junghiana. Dal 1941 iniziano a elaborare il Myers-Briggs Type Indicator (MBTI), un questionario sviluppato per aiutare le donne, che negli Stati Uniti stavano entrando per la prima volta nel mondo dell’industria al fine di sopperire alla mancanza di operai uomini (al tempo precettati per la guerra), a comprendere il tipo di lavoro per loro più idoneo. Uscito in tredici edizioni tra il 1942 e il 1998, delle quali una validata per il pubblico di lingua italiana, e attualmente disponibile in quattro versioni, il MBTI è tuttora il questionario di autovalutazione basato sulla teoria dei tipi più riuscito e conosciuto, coerente in parte con la nota teoria dei Big Five di Robert R. McCrae e Paul T. Costa. Vengono ciononostante realizzati altri tentativi psicometrici ispirati alla tipologia junghiana, derivati, congruenti o divergenti dal MBTI: la Gray-Wheelwright Jungian Type Survey (GW/JTS, 1946), che tenta di riportare l’indagine tipologica più in sintonia con l’impostazione di Jung; il Sixteen Personality Factor Questionnaire (16PF, 1949); il Keirsey Temperament Sorter (KTS, 1978); il Singer-Loomis Inventory of Personality (SLIP, 1980), poi rielaborato come Singer-Loomis Type Deployment Inventory (SL-TDI, 1996); il Murphy-Meisgeier Type Indicator for Children (MMTIC, 1987); il Thomson-Maidenbaum Personality Inventory (1998); il Lenore Thomson Personality Test (1998); lo Jungian Type Index (JTI, 2001); la Jung Psychological Types Scale (JPTS, 2005); l’Implicit Personality Test (IPT, 2010); il Visual Questionnaire (ViQ, 2011); le Open Extended Jungian Type Scales 1.2 (OEJTS, 2015); e i più recenti Majors Personality Type Inventory (PTI), NERIS Type Explorer, Typefinder e Mental Gurus Jungian Index (MGJI), tra altri. Se la teoria va sempre più sofisticandosi dal punto di vista metodologico, essa sembra però adombrare pressoché tutte le preoccupazioni filosofiche, letterarie e culturali care a Jung, come rilevato da James Hillman in un intervento tenuto a Eranos nel 1976, Le tipologie egualitarie versus la percezione dell’unicità.

Obiettivi dell’apprendimento

L’insegnamento, partendo da una analisi critica della teoria dei Tipi psicologici di C.G. Jung, intende fornire le principali conoscenze sulla teoria, sulla tecnica e sulle applicazioni del Myers-Briggs Type Indicator (MBTI). I discenti, alla fine del corso, avranno appreso i fondamenti della teoria tipologica junghiana e – nelle sue reinterpretazioni – post-junghiana. Parte del corso sarà dedicata allo studio della corrispondenza tra l’ordinamento esadecimale del MBTI, la tassonomia dei temperamenti (Temperaments) di David Keirsey – muovendo dagli studi sul carattere di Ippocrate e Platone – e la struttura archetipica delle funzioni-ombra proposta da John Beebe. Verranno infine illustrati alcuni quadri psicopatologici, come risultato della rottura dell’equilibrio tra le funzioni, documentati nei fenomeni del Loop e del Grip. A tali problematiche tipologiche – cui si accompagna una prassi terapeutica dedicata – saranno rapportati i principali disturbi di personalità enumerati nel Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali DSM (Asse II), nella Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati ICD-10 (Settore V) e nel Manuale Diagnostico Psicodinamico PDM (Asse P). Attraverso una parte significativa del corso dedicata alla tecnica di somministrazione e ad esercitazioni, gli Allievi e le Allieve arriveranno a padroneggiare il MBTI come strumento di autoconoscenza e di indagine psicologica, applicato ai più diversi contenti professionali: clinici, formativi, educativi, organizzativi.

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