Corso: Mito, religione, cultura e società nel lavoro psicoterapeutico
Tipologia: cod. MIUR C.1: Insegnamento caratterizzante (attività didattiche di tipo clinico di indirizzo) lezioni solo teoriche: Approfondimento specifico dell’indirizzo metodologico e teorico-culturale seguito dall’istituto (I-II anno); cod. MIUR C.2: Insegnamento caratterizzante (attività didattiche di tipo clinico di indirizzo) lezioni teoriche con attività pratiche (III-IV anno)
Ore: 16
Anno: I-II-III-IV
Docenti: Alessandro Defilippi [alessandro.defilippi@ipap-jung.eu], Flavia D’Andreamatteo [flavia.dandreamatteo@ipap-jung.eu], Fabio Merlini [fabio.merlini@ipap-jung.eu]
Programma dell’insegnamento

La riflessione di Jung per le questioni teologiche non solo occupò una parte considerevole nei suoi studi, ma ne costituì anche uno degli elementi portanti; in particolare, i suoi studi sul cristianesimo occuparono la posizione centrale nell’ultimo ventennio della sua vita intellettuale. Tale interesse, inoltre, non si declinò come un rapporto indiretto o mediato, bensì come un coinvolgimento in prima persona, contraddistinto da intensi scambi epistolari e incontri personali, come nel caso del suo rapporto con il teologo domenicano Victor White, ma anche da aspri scontri, come nel caso del suo acceso dibattito con Martin Buber. I Convegni di Eranos, in particolare, si configurarono come il più importante punto d’incontro interdisciplinare tra il grande psicologo svizzero e studiosi afferenti alle molteplici discipline legate, ognuna dalla propria prospettiva, alla dimensione religiosa. La pubblicazione da parte di Jung di molte opere di riflessione psicologica su questioni religiose e teologiche fu quasi sempre accompagnata da reazioni contrastanti. Le accuse più frequentemente mossegli dall’interno del mondo cristiano erano, da una parte, quella di “psicologizzare” il cristianesimo, per esempio riducendo gli asserti dogmatici a paradigmi psicoanalitici; dall’altra parte, quella di voler promuovere un sincretismo religioso sub specie psicologica, nel quale la specificità dell’autentica religiosità cristiana sarebbe andata inevitabilmente perduta (Padre Agostino Gemelli). Altri, di parere opposto, non avrebbero esitato a intravedere nella riflessione junghiana sulla religione una possibilità per riempire il vuoto creato nella vita dell’uomo dalla devastante collisione della scienza con la religione, se non addirittura le tracce di una rinnovata spiritualità di stampo umanistico. Altri ancora avrebbero enfatizzato il carattere “religioso” intrinseco allo stesso statuto epistemologico della psicologia junghiana, sottolineando come alcuni caratteri del processo d’individuazione traggano origine o, comunque, rivelino dei parallelismi con modelli religiosi (M. Esther Harding, tra altri).

Obiettivi dell’apprendimento

L’insegnamento, nell’ambito di un primo modulo, si propone di riflettere, di anno in anno, sulla rilevanza delle dimensioni del mito, della religione, della cultura e della società nel lavoro psicoterapeutico, a partire da tre particolari sensibilità rilevate da Jung nella sua considerazione per la problematica spirituale nella dimensione clinica. (1) Innanzitutto, il riconoscimento di una specifica “funzione religiosa” della psiche, declinata da Jung nei termini di una anima naturaliter religiosa, derivata dall’anima naturaliter christiana di Tertulliano. (2) In secondo luogo, nel tentativo di comprendere ciò che l’esperienza religiosa rappresenta per l’individuo, l’apertura al patrimonio spirituale di altre culture: oltre all’idea di un “sacro” che risiede dentro l’uomo, anche la formulazione del Sé (Selbst), mèta del processo d’individuazione, come imago Dei e, al tempo stesso, conjunctio oppositorum – luce e oscurità, bene e male, maschile e femminile allo stesso tempo – è infatti debitrice di tradizioni spirituali sia occidentali sia orientali. (3) Infine, la considerazione della religione come dimensione costitutiva anche dell’individuo contemporaneo, con una particolare enfasi per due specifiche questioni teologiche, che Jung trovava spesso declinate anche nell’esperienza clinica con i suoi pazienti: il rapporto tra fede ed esistenza e il problema dell’esistenza e della realtà del male.

Un secondo modulo prenderà in considerazione le manifestazioni di disagio psicologico nella relazione tra individuo e società contemporanea. Si cercherà di riflettere, in particolare, sulla pratica della psicoterapia di fronte alla “crisi della modernità”, in un momento in cui l’incertezza socio-politica sembra tradursi in una condizione patologica individuale e portare la polis dentro la stanza del terapeuta. La modificazione accelerata del presente ci svela, oggi, un immaginario collettivo globalizzato, che spesso declina in modo sfuggente il rapporto tra soggettività e convivenza sociale. Anche le nuove patologie sono dominate dalla precarietà ed eludono le rigorose definizioni psicopatologiche. Saranno inizialmente offerti cenni storici sulla nascita delle psicanalisi e l’influenza che, sulla neonata scienza, ebbero i movimenti di rinnovamento sociale, religioso e politico; sulla malattia mentale e lo scontro sociale della fine anni ’60, l’antipsichiatria e la riforma basagliana; sul movimento delle donne e le sue pratiche: il personale è politico (1970/80). Le linee guida del seminario trarranno le maggiori ispirazioni dal pensiero e dalle prassi della psicologia del profondo: C.G. Jung e altri post junghiani, in particolare James Hillman, hanno infatti incluso il “mondo” nella loro visione della psiche, dando all’idea di Anima Mundi un ruolo centrale nella loro architettura psicologica. Si approfondirà allora l’indicazione psicoterapeutica contenuta nella connessione tra l’anima individuale e il mondo, come appartenenza alla natura e alla comunità degli uomini e come consapevole accettazione dei rapporti fra i singoli e la collettività, fra individualità e altruismo. Il seminario intende quindi offrire: gli strumenti di riflessione e di conoscenza sulla profonda interconnessione psichica tra il singolo e il proprio ambiente sociale, la cui mancanza è all’origine di alcune manifestazioni psicopatologiche; l’acquisizione di alcuni elementi della psicologia del profondo che aiutino il terapeuta a relazionarsi con la “comunità interiore” di ogni persona e con la dinamica politica che regola diversificate funzioni e complessi: la psiche è una polis e la polis abita la psiche; competenze e sensibilità per gli interventi in organizzazioni e comunità, legati al miglioramento della qualità della vita interiore della persona e della collettività, che sappiano coniugare le storie individuali in un immaginario plurale condivisibile. In termini di risultati attesi, integrare il tema del cambiamento sociale in una formazione psicoterapeutica dovrebbe fornire agli operatori della psiche gli strumenti per ampliare la comprensione e la capacità di intervenire sui seguenti aspetti: l’influenza che gli avvenimenti della politica o dell’economia, anche i più lontani e apparentemente impersonali, hanno sul singolo individuo, catturandolo intimamente in forme dense di pathos; la progettazione di interventi nei quali la psicoterapia possa essere un collante tra individuo e collettività e che mirino alla ricostruzione di una trama narrativa che sappia tessere i fili sia della realizzazione della psiche individuale sia della vita delle comunità; l’integrazione dello spirito del tempo nella pratica psicoterapeutica in una cultura della cura, capace di progettare, attraversare e, se necessario, sostare nell’instabilità e nella precarietà di questa nuova era dopo la modernità.

Un terzo modulo, in un momento in cui la narrazione sul e del corpo fisico, della sua fragilità dolorosamente riscoperta, è diventata centrale nel nostro quotidiano, propone un racconto clinico-storico sul corpo delle donne: un osservatorio antico per gettare uno sguardo sulle patologie della modernità. Se vi è più ragione nel corpo che nella saggezza (F.Nietzsche), vale la pena riflettere su come la corporalità femminile è stata, ed è, un crocevia in cui il malessere psichico si è intersecato con la politica della cura. Le culture dell’egemonia e della sottomissione invadono la sfera interiore, sono inscritte nelle relazioni più intime e si incarnano nell’oscurità dei corpi femminili, in modo peculiare. Nei secoli la gestualità scomposta delle donne agitate, come un fiume carsico fa riemergere le stesse morfologie, diventando una sorta di manifesto gestuale prelogico dell’ombra femminea.L’inquietudine del primo novecento, che permetterà alla psicanalisi di radicarsi, elegge la nevrastenia femminile ad icona privilegiata del malessere generale. Ma l’andamento della malattia fece procedere alcune di queste donne, come in una danza di autoguarigione, da una difficoltà all’altra seguendo le loro profonde inclinazioni. La gestualità, nonostante le contrazioni del diaframma chiuso dai corpetti, rivelò a loro stesse e a chi le guardava la presenza di un’interiorità femminile che voleva partecipare all’anima del mondo. Guarderemo ad alcune biografie, come a storie esemplari, non così distanti da noi e dai nostri studi. La lezione sarà intervallata da richiami clinici tesi a mostrare la possibilità di captare l’intensità somatica e nervosa, espressa dai pazienti, che necessita ascolto e condivisione. L’infermità somatica può rivelare lo strappo interiore da ricomporre, il setting lo spazio per allontanarsi dall’idea di corpo reale, per recuperare senso nella e della sofferenza. Ci possiamo accostare al territorio che Jung ha definito “psicoide”, in cui la dimensione psichica e quella somatica coesistono. Le immagini somatiche permettono di viaggiare nell’oscurità dell’anima, da cui si può riemergere trasformati attraverso una fisicità consapevole che non copre ma esprime emozioni. In oltre, verrà messo l’accento sulla necessità di dare valore alle capacità di cura deposte nella memoria del corpo. Per molti, soprattutto donne ma non solo, la funzione di assistenza dell’altro- bambini, anziani, disabili- è relegata fuori dalla vita psichica e non utilizzata per agire nuove visioni della realtà. Se, allo slancio pronto ad intercettare somaticamente ogni richiesta di contatto, di vicinanza non precludiamo la dimensione psicologica, confondendolo nella fattualità quotidiana, restituiamo al corpo la saggezza della cura.

Bibliografia di riferimento

  • Bairoglio, M. (2018). La danza delle streghe. Energie femminili per una pedagogia spregiudicata. Milano: Franco Angeli
  • Calasso, R. (2005). La follia che viene dalle Ninfe. Milano: Adelphi
  • Didi-Huberman, G. (2008). L’invenzione dell’isteria. Charcot e l’iconografia fotografica della Salpetrière. Milano: Marietti
  • Giallongo, A. (2012). La donna serpente. Bari: Dedalo
  • Giambrone, R. (2011). “Il corpo isterico”. In Danza e ricerca. Laboratorio di studi, scritture, visioni, 1(2), pp. 71-90
  • Meroni, B. (2010). Isteria e Pensiero teatrante. Milano: Vivarium
  • Pulcini, E. (2003). Il potere di unire. Torino: Bollati Boringhieri